Conta che Passa la Pazza
costumi
IRMA CIARAMELLA
aiuto regia
OTTAVIA ORTICELLO
assistenti alla regia
SUSY PARIANTE
LETIZIA NICOLAIS
RACCOLTA DEI COMMENTI
Spettacolo geniale scritto e interpretato da Irma Ciaramella, regia di Francesco Maria Cordella. Una virgola sbagliata conduce a un risultato errato. Il racconto di una donna fragile che sta dimenticando la sua vita e cerca di rifugiarsi in varie patologie per fuggire dal tempo e da un mondo che rappresenta un paesaggio dove gli umani svantaggiati non hanno spazio. La grande interpretazione di Irma Ciaramella, profonda, ironica e comunicativa ti colpisce nel profondo, ti apre gli occhi su un argomento che ti tocca da vicino e che spesso sottovalutiamo. Lo spettacolo è stato bellissimo ed emozionante, capace di trasmettere emozioni e sentimenti che ti fanno pensare, che ti mettono davanti un problema, una piaga della società purtroppo troppo presente. Grazie Irma! Andate a vederlo
Bellissimo spettacolo, interpretato magistralmente. Grandissima Irma Ciaramella.
Spettacolo che trafigge.Come fermare certe emozioni? Il tempo,l’attimo indefinito…
Grande commozione.Il disegno registico che accompagna e l’attrice aderisce al disegno.
Un’esperienza che cattura,commuove ed immerge nelle nostre paure più profonde per guarire gli aspetti negati di ognuno! La protagonista dà voce ai nostri incubi più reconditi e li libera dopo averci donato un contatto profondo con noi stessi e le nostre follie.Il Teatro così inteso recupera quella funzione primaria di guarigione tramite la psiche ctonia. La regia magistrale sottolinea e accompagna ogni immagine e ci riconsegna al linguaggio poetico,che per troppo tempo è stato dimenticato.
L’attrice è leggera come un uccellino che prepara il suo nido.Vola,prende un ramoscello,lo poggia e rivola via.Costa fatica questo lavoro ma noi spettatori non lo percepiamo.Tutti divertiti ed emozionati. Lunga vita a questo spettacolo!
Non ci sono altre parole: STRAORDINARIA
Spettacolo bellissimo e la tua interpretazione emozionante come la gioia di rivederti! Complimenti a te e al regista Francesco Maria Cordella! Bravissimi!!!
Grazie per avermi dato la possibilità di assistere a una così intensa prova di attrice/autrice e a un allestimento così efficace.
Spettacolo bellissimo!!! Irma Ciaramella in stato di grazia
Bravissima! Autrice e attrice unica e cara
Non perdetevi la mia talentuosa profonda intelligente sensibile amica Irma Ciaramella nel suo spettacolo denso di un’umanita’ tragica e dolorosa e vitale e gioiosa.
Irma Ciaramella io ti amo.
Immensa, unica, meravigliosa! Evviva la tua lucida follia
Grazie per aver donato tutta te stessa su un palcoscenico di fronte a un pubblico che hai incantato, per aver mostrato quanto possa essere forte e coinvolgente il teatro grazie alla forza delle parole e dei gesti di una grandissima interprete.
Resti nella mente e nel cuore
Grazie per la magia, il sogno e la verità che ci avete donato!
IRMA GRAZIE A TE E FRANCESCO una fusione artistica esattissima.. Ww il teatro!
Il sentiero è pieno di ostacoli come in ogni impresa diversa e spesso scomoda ma voi avete la lucidità e l’entusiasmo giusto e tutte le qualità per vincere ,siete un magnifico gruppo e Irma Ciaramella la punta di diamante.Felice viaggio
Il teatro oggi ha bisogno di rinnovamento e rinascita. In particolare a Roma dove storici teatri sono finiti nell’abbandono e nell’oblìo.
Le compagnie come la vostra sono in grado di riportare linfa vitale, nuovi talenti – e non solo – soprattutto l’opportunità di conoscere coloro troppo spesso esclusi dai circuiti elitari. E poi testi nuovi, inediti, aderenti alla realtà. Grazie per l’entusiasmo e l’impegno
Proprio una bella esperienza attoriale , essere praticamente con te sul palco e nell’azione scenica è poi un valore aggiunto Jamm’ ja’, alla prossima
Emozione e forza emotiva. Un momento intenso! E poi tante altre cose….
Irma Ciaramella ci ha permesso di entrare nel suo mondo, scritto pensato, vissuto generosamente e magistralmente donato a noi. Grazie al vostro onesto e appassionato lavoro che con cura preziosa, quella attenzione tutta ‘artigianale’, di mestiere che Francesco Cordella ha saputo,con grande sensibilità, dare a un palco.Grazie della bella serata
Sapevo che eri Fantastica ma non lo avevo compreso fino in fondo…Emozionante Pura Vera Passione intensa…..
Grazie per averci fatto vivere un momento…un’ora …così coinvolgente
Grazie per la magia, il sogno e la verità che ci avete donato!
Il “grido” d’amore di Irma Ciaramella
di Giuseppe Giorgio
Mer 09 Novembre 2022 12:56
Ci si commuove ed emoziona al teatro Porta Portese di Roma. Si guarda in faccia alla vita ed alle sue avversità. Con “Conta che passa la pazza” il monologo scritto e interpretato da Irma Ciaramella, nello spazio di via Portuense a compiersi è la magia di un’attrice ed autrice passionale ed intimistica. La stessa che nei panni della bizzarra e tormentata protagonista del suo testo diventa disperatamente toccante e travolgente.
Ed è proprio grazie a un lavoro di scrittura affilato come una lama capace di penetrare la coscienza del pubblico, che ad emergere decisa è la struggente storia di una donna al cospetto dell’oblio della mente e di una malattia che la porterà a non ricordare più nulla di sé. Ciaramella incarna un personaggio che sembra uscito da un libro di poesia ma anche uno strano paradigma vivente. Un prototipo umano pronto a superare, tra i sibili di una grande Moka Express e i fantastici dialoghi con dei vecchi oggetti da cucina, i confini del tempo fino a raggiungere una dimensione avulsa dalla realtà.
Momenti drammatici per la disperata donna, la quale, avvolta da una ottocentesca crinolina ma meglio sarebbe dire una specie di gabbia che le imprigiona corpo e cervello, riesce nonostante tutto a trovare una inusitata forza dinanzi alla solitudine e allo spettro dell’annientamento mentale. Una storia antica e moderna allo stesso tempo, che trova ulteriori forme ed espressioni grazie alla regia, le luci e la musica di Francesco Maria Cordella. È lui infatti, puntando su di una interprete in simbiosi con il suo personaggio e su di una forma teatrale dalla grande componente sociale, a porre lo spettatore dinanzi a una serie di sensazioni capaci di toccare il più profondo dell’anima.
Proiettando il pubblico in un universo tumultuoso fatto di tragedia e dolore “Conta che passa la pazza” si tramuta in un faccia a faccia con le brutture di una civiltà fagocitata del sistema mediatico e dalla realtà virtuale. In un’invocazione in grado di travolgere la mente di chi, nel dramma della protagonista e della sua imminente perdita di memoria, intravede la via di un calvario senza fine. Interpretato con la forza espressiva di chi oltre ad essere una brava attrice, il dramma della degenerazione mentale e della cosiddetta “malattia del lungo addio” l’ha pure vissuto da vicino, lo spettacolo fila via come un orologio svizzero.
eADV
Ricco di suggestioni umane, il monologo con il suo disperato grido d’amore, struggente e delirante, porta in scena tutte le sfumature di chi prova a combattere un devastante martirio interiore frutto di un crudele gioco della vita. Con le assistenti alla regia Assunta Pariante e Ottavia Orticello e ancora, con la scena e il singolare costume della Actstheater, il lavoro si trasforma in una sorta di terapia drammaturgica per lenire pensieri e angosce. In uno strumento per gettare un abbagliante fascio di luce sull’atroce realtà di tante persone sofferenti.
“Conta che passa la pazza” alla fine fa pensare a chi può ancora pensare aiutando anche a comprendere le parole tratte da una poesia anonima trovata al capezzale di una malata di Alzheimer “Non chiedermi di ricordare, non cercare di farmi capire. Lasciami riposare, fammi capire che sei con me, baciami sulla guancia e tienimi la mano”. Ed è così, infine, che dal “canta che ti passa”, la proverbiale esortazione tesa a dissolvere le proprie paure attraverso il canto, al “Conta che passa la pazza”, il passo sembra diventare decisamente breve. Come quando a fare irruzione tra le parole del testo è la voce del tenore Giuseppe Di Stefano con l’aria “Una furtiva lagrima” che guarda caso è tratta dall’opera di Donizetti intitolata proprio “Elisir d’amore”, unico rimedio utile per le pene e i dolori di chi presto non ricorderà neppure il proprio nome.
Conta che passa la pazza, di Irma Ciaramella
Categoria: Spettacoli sulle scene e sugli schermi
di Susanna Battisti
12 Novembre 2022
Il buio che avvolge il piccolo palcoscenico del Teatro Porta Portese di Roma è appena schiarito dalla luce di una torcia che avanza verso il pubblico. Poi si rivolge verso destra, dove si intravede appena una caffettiera issata su un palo, poi a sinistra, dove appare una pentola e, infine, verso il fondo dove spicca una specie di scudo dorato. Sono i tre punti cardinali dello spazio simbolico dove vive una donna senza nome. Quando le luci si accendono la vediamo con indosso la crinolina di un costume d’opera (in passato cantava) e con in testa un copricapo di plastica bianco trasparente sormontato da un cappello che rimanda alla foggia del costume. Sulle prime, parla come un robot e fa pensare a un alieno desideroso di spaziare in altri cieli. Ma è una donna che tenta di fare i conti con la sua esistenza, vissuta in gran parte in solitudine e con l’aiuto di gocce prescritte dal suo medico. Non sappiamo in che misura, ma è malata di mente e vaga nel suo mondo interiore fuori dal Tempo e dallo Spazio.
Scritto e interpretato dalla bravissima Irma Ciaramella, Conta che passa la pazza è un monologo molto variegato e volutamente frammentario. Il racconto vola verso un passato immaginato al tempo degli antichi Egizi o della Grecia delle origini. La donna allude, in seguito, al suo passato di moglie infelice intrecciato al suo presente fatto di dolore, un dolore provocato dal suo isolamento dagli altri, dalla sua incapacità di ricordare se sia stata mai amata e dal terrore di perdere completamente la memoria e la parola in un futuro incerto. Dice e disdice, alterna momenti di amnesia a improvvisi sprazzi di lucidità. L’attrice usa un linguaggio semplice e colloquiale, insaporito da cadenze e frasi in dialetto napoletano. E’ veramente incredibile la spontaneità e la naturalezza con le quali passa da uno stato d’animo all’altro. La drammaticità è spesso condita da ironia e, a volte, da schietta comicità. Dopo aver lamentato di non avere figli, ad esempio, se ne esce dicendo di vederlo, suo figlio Kevin, che a scuola era un ciuccio. Prima corrugato, il suo volto diventa quello di una madre fortemente indispettita.
Drammaticamente ironiche sono anche le sue chiacchierate con la caffettiera, la pentola e lo scudo dorato. Questi oggetti inanimati hanno tutti un nome proprio e fanno, a loro volta, rumore. E’ la sua immaginazione che l’aiuta a colmare il suo vuoto e il silenzio che cerca di combattere anche con il canto. La sua esecuzione della famosissima canzone di Salvatore Di Giacomo ‘E spingule francese è accompagnata dalla spiegazione sommaria del suo contenuto, che manifesta la sua impellente necessità di comunicare. Le sue parole facevano commuovere il suo uomo che adesso non c’è più e l’aria Una furtiva lagrima da L’elisir d’amore di Donizetti ci conferma che in passato fosse una cantante lirica. La donna è una persona sensibile, un’artista malata e per questo lasciata in disparte.
La regia di Francesco Maria Cordella, molto attenta al ritmo, ai tempi e alle brevi pause di questo monologo interiore, pone l’accento sulla perdita della Memoria, che caratterizza l’intera società di oggi, priva di valori e di principi morali. Una società che affossa la bellezza e la cultura e glorifica il successo e il denaro. Un panorama desolato che disorienta ed emargina i più deboli.
Visto al Teatro Porta Portese di Roma il 5 novembre 2022.
Alessandra Bernocco 20 Novembre 2022 CULTURA, TEATRO
Conta che passa la pazza
È difficile dimenticare qualcuno che ti ha dato molto da ricordare
(John Green)
Un atto unico di e con Irma Ciaramella
Regia Francesco Maria Cordella
A fine spettacolo Irma Ciaramella avverte il pubblico che la dedica è al padre, probabilmente scomparso dopo la malattia di Alzheimer. Non so da quanto tempo né ho voluto domandarglielo. È però chiaro che Conta che passa la pazza, atto unico presentato al Teatro di Porta Portese il 4, 5 e 6 novembre 2022, nasce da una necessità molto forte, un grido di dolore compresso che ha cercato nel teatro, forma artistica a lei più consona, il canale per liberarsi. Che non significa prendere le distanze dalla malattia ma tuffarcisi dentro, disporsi al ‘contagio’ per meglio comprenderla, farsene carico anche dopo la morte. Significa avvicinarsi, prendere confidenza, accarezzare il demòne che ti tormenta per provare ad addomesticarlo. Solo in un’ottica di accettazione puoi finalmente essere libero, solo accogliendo il vuoto dell’altro e facendolo tuo, lo puoi ricordare e riempire di te. È qualcosa di più dell’elaborazione del lutto, qualcosa che va oltre il dolore e l’umanissimo bisogno di ricominciare, dimenticando, se è il caso, quello che ci ha fatto soffrire. Ma l’operazione è dura e mai esaurita. È un percorso fatto di slanci e di resistenze, una lotta estenuante che la parte più combattiva di te mette in atto contro quella più fragile. E tu tifi per una ma vuoi proteggere l’altra.
Su questo filo sottile si muove il lavoro di Irma Ciaramella, che ha fatto ricorso con sicura sapienza di attrice alle tante risorse che il teatro ci offre.
Il risultato si vale della regia di Francesco Maria Cordella ed è un funambolico gioco di equilibri sia per l’attore sia per lo spettatore, chiamato fin dall’inizio a sintonizzarsi su una cifra surreale e a tratti grottesca: cifra scelta probabilmente per non lasciarsi travolgere, che l’attrice gestisce con una gran bella efficacia, risparmiandoci affondi pseudo-strasberghiani e tenendo a bada sterili virtuosismi.
Perché i virtuosismi ci sono, eccome, ma funzionali all’operazione. Per dare voce alla dispersione, si è dispersa lei stessa, fragile cellula che geme, canta, fa risuonare pezzi di vita con voce metallica, dentro una corazza che più che proteggere, isola. Oltre la gabbia, il mondo non gira o gira al contrario, le stelle invocate per indicare la strada oscurano la rotta e annebbiano lo sguardo. Gli interlocutori assumono forme improprie, inanimate e bizzarre -una caffettiera, una caccavella napoletana, un coperchio, raccolti dalle acque del Tevere e del Nilo (sic) -, e intralciano i ricordi emettendo suoni molesti. Dentro la gabbia il meccanismo è inceppato. “Non ricordo se sono scappata, non so da dove e dove devo andare”. Gli altri chi sono? Dove sono, esistono o sono un’allucinazione nel vuoto della mente? “Non ricordo se qualcuno mi ha voluto bene o se sono stata felice”. Forse un figlio ce l’aveva, forse si chiamava Kevin o forse no. Perché mai avrebbe dovuto chiamarsi Kevin, suo figlio, che è molto meglio Diego? Eh sì, Diego. Come Maradona? Forse sì ma non si dice. Si lascia intuire con quella calata napoletana che ci soccorre e consola, provando a sciogliere in una risata il groppo in gola.
Un po’ è anche questo il senso di questo spettacolo: suggerire un modo indolore per stare dentro la gabbia che l’esistenza riserva a ognuno di noi. Ognuno ha la sua: più o meno dorata, più o meno confortevole, più o meno trasparente. E l’ironia strappata al dolore, la risata sommessa che l’attrice ha più volte innescato, è la rete che ci salva attraverso le sbarre. Avercela.
di Alessandra Bernocco
Il delirio, o dialoghi con una caffettiera
di Fausto Nicolini per QUARTA PARETE
Chi può dire se sia meglio perdere la memoria o se prendere coscienza di essere diverso dagli altri, tra loro simili, e sentirsi all’improvviso esclusi dal mondo che ci ha accolti fino a quell’istante? Il quesito resta senza risposta, perché sia gli uni che gli altri si abbandonano a uno stato patologico di assurde convinzioni. Il delirio.
Il delirio è la conseguenza di chi soffre di demenza, o di Alzheimer. Ma casca nel delirio anche chi disperatamente si rifugia in uno stato depressivo, rifiutando tutto, a volte anche la vita stessa: un eccesso patologico che potrebbe spingere al suicidio. Il tema è fin troppo delicato, fin troppo profondo, e – per dirla con una parola che in teatro è molto abusata – è «pesante».
Il pregio di Conta che passa la pazza, scritto da Irma Ciaramella, è tutto concentrato in questa sfumatura: in scena, la pazza, colei che ha perduto la memoria, tanto da non ricordare nemmeno il proprio nome, colei che è stata esclusa dal mondo esterno, per fortuna è in preda a un «delirium ridens», e quindi canta e balla e gioca. O meglio, sembra giocare con i suoi amici che sono un coperchio, una vecchia marmitta da cucina, e una grossa caffettiera. Tre oggetti simbolici (la regia è di Francesco Maria Cordella) che parlano emettendo i loro rumori, quelli della quotidianità che contribuisce a irrobustire le abitudini casalinghe; proprio quelle che alla lunga rendono difficile ogni confronto con il mondo esterno, dove all’improvviso tutti possono apparire «diversi». E lo sono: perché obbiettivamente diversi da una caffettiera, da un coperchio e da una marmitta, diversi dalle abitudini che procurano sicurezze tra le mura di casa.
La pazza però era una cantante lirica, la quale, a causa di una forchetta, è rimasta traumatizzata: infatti è simbolicamente ingabbiata in una crinolina semirigida (la stessa che usano molte sartorie teatrali per ampliare il volume delle gonne dei costumi ottocenteschi) che le impedisce ogni desiderio di libertà. A fatica si stacca dal capo un’altra crinolina enfant, più piccola, ma preferisce non uscire mai dal suo ring protettivo, un triangolo formato dai tre oggetti con cui dialoga e che hanno un nome: Rosario, Gloria e Veronica. Nella sua testa, però, c’è musica, ma non c’è il figlio al quale, invece, dovrebbe telefonare, come ha scritto il medico su un biglietto. La pazza non riesce neanche a disperarsi di fronte a questo dramma. «Una furtiva lacrima», canta il tenore, lei ascolta cercando vanamente un abbraccio.
Convinti gli applausi alla protagonista.